IMPARARE AD AIUTARE

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“Nulla è più comune di una persona pronta a dar consigli e nulla più raro di una pronta a fornire aiuto” (Voltaire)

Per aiutare qualcuno, da un punto di vista psicologico, non basta l’intenzione. Quando vediamo une persona a noi cara soffrire, ci viene spontaneo attivarci e fare del “nostro meglio” per alleviare la sua sofferenza. E se questo è sicuramente un nobile intento, purtroppo il più delle volte non serve a raggiungere lo scopo. Ma anche se non ce ne rendiamo conto, lo scopo in quei momenti è cercare di sentirci utili per alleviare il nostro disagio di fronte alla sofferenza altrui. Non accettiamo la nostra impotenza e ci adoperiamo per fare “tutto il possibile”, anche se questo si rivela inutile. Insistiamo in tentativi di aiuto che solo apparentemente sembra possano essere utili, ma che passato l’effetto del conforto momentaneo, fanno riemergere il problema come prima, se non più rafforzato. A quel punto noi, con le nostre migliori intenzioni, siamo diventati parte del problema. Inconsapevolmente lo alimentiamo, convinti del contrario. Basta guardare i fatti. Sarà capitato più o meno a tutti, almeno una volta nella vita, di sentirci sfiniti dopo innumerevoli tentativi di aiuto verso un nostro caro, nel vedere che malgrado i nostri sforzi (consigli, parole di conforto, saggi discorsi) il suo problema è ancora lì come prima, nemmeno un pò scalfito. Che cos’è che ci porta a insistere? Il fatto di non accettare la nostra impotenza di fronte a certe situazioni. Quindi il nostro intento altruistico di aiutare l’altro, diventa egoistico perché, pur non ottenendo alcun risultato, si insiste in una direzione che serve soltanto a illudere noi stessi di poter essere di aiuto. Cosa fare dunque i certe situazioni? Paradossalmente, fare meno aiuta di più. “Semplicemente” ascoltare, per esempio, la sofferenza del nostro caro, accoglierla senza alcun intervento. Spesso è molto più di aiuto che sforzarsi di dare il consiglio giusto o suggerire vari tentativi di soluzione. Non è facile fare questo, perché presuppone un’ autogestione delle proprie emozioni e la consapevolezza di quanto possiamo effettivamente contribuire nell’aiutare qualcuno. Dobbiamo accettare che non possiamo salvare gli altri dalla loro sofferenza, ma imparare a riconoscere qual è il massimo aiuto che possiamo fornire, senza avere la pretesa di onnipotenza.
Se, come suggerisce Horace Mann, “non fare nulla per gli altri è la rovina di noi stessi”, fare troppo conduce all’effetto paradossale di non essere di alcun aiuto.

Giovanna Rosciglione

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