L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI: COMUNICAZIONE E DINAMICHE DELLE RELAZIONI COSTRUTTIVE

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Ritengo l’argomento in questione di rilevante importanza,  perché è alla base di tutto e infatti costituisce, non a caso, l’argomento onnipresente del mio lavoro quotidiano di psicoterapeuta. Tutti i giorni lavoro con le relazioni, attraverso le relazioni stesse e attraverso la comunicazione, per aiutare le persone a risolvere i problemi o per raggiungere i loro obiettivi. Inoltre, tutti i giorni mi relaziono con le persone anche la di fuori del mio lavoro, con persone scelte da me e non.

Come si può già vedere, la prima caratteristica delle relazioni e della comunicazione è che sono alla base di tutto, sono inevitabili. Anche volendo, nessuno di noi può sfuggire alle relazioni e alla comunicazione che esse richiedono. Voi direte: bè non è detto, se io mi chiudo in casa e rifiuto di relazionarmi e di comunicare con chiunque, oppure se vado a vivere in un posto isolato dove ci sono solo io (a patto che esista questo posto), posso anche evitarle. Nemmeno nel caso in cui ci illudiamo di fuggire lontano da tutti, chiudendoci in casa per esempio, possiamo fuggire dalle relazioni, perché comunque in quel posto ci siamo noi e ognuno di noi è costretto, volente o nolente, a relazionarsi e a comunicare con se stesso. Quando parliamo di relazioni, infatti, dobbiamo fare riferimento alle tre relazioni fondamentali e inevitabili per ognuno di noi, che si condizionano a vicenda:

  • la relazione con se stessi
  • la relazione con gli altri
  • la relazione con il mondo

Gestire la nostra comunicazione al posto di  subirla. Considerata l’inevitabilità del comunicare, non ci restano che due due possibilità: imparare a gestire la nostra comunicazione e il nostro modo di relazionarci, con noi stessi e con gli altri, oppure subire la comunicazione e lasciare che vada da sé, così come ci viene, molti dicono in modo “spontaneo”. Ma chiariamo subito un punto: la spontaneità non è una cosa innata, ma qualcosa che si è acquisito nel tempo: se io ripeto un comportamento un certo numero di volte, questo diventa spontaneo (es: guidare la macchina). Anche il modo di comunicare, che di per sé è una cosa innata, il linguaggio, è appreso, solo che la maggior parte delle persone pensa che sia immodificabile (sono fatto così!). In realtà, abbiamo appreso e poi interiorizzato il nostro modo di comunicare, dando per scontate tutta una serie di cose che però non sono per niente scontate. Ad esempio, il più delle volte diamo per scontato che quando io dico una cosa, il mio interlocutore la capisca così per come l’ho detta. Ma facciamo un esempio, è una banalità, tutti voi penso conosciate il gioco del telefono…come vi spiegate che la parola iniziale non coincide mai con la parola finale? Il processo, di 4 fasi, che avviene è il seguente: io ho intenzione di dire qualcosa (elaborazione personale del concetto), poi la dico, questa cosa arriva all’orecchio dell’altra persona (udito), quindi noi non sappiamo cos’ha sentito; poi questa persona interpreta ciò che ha sentito e ciò che viene fuori da questi passaggi spesso non coincide con l’intento iniziale di chi ha emesso la  parola. Se questo succede con una sola parola, immaginiamo con una frase o con un discorso! Quindi nella comunicazione di scontato non c’è proprio niente. Un’altra cosa che di solito viene data per scontato è che, siccome io mi sento dentro di me in un certo modo, mi aspetto che l’altro se ne accorga, che legga dentro di me le mie intenzioni o aspettative (es: “lo sai cosa intendevo” o “tanto mi conosci, te l’ho detto tante volte che devi/non devi fare così”). Questa abitudine (cattiva) inizia da neonati, infatti i bambini che ancora non parlano comunicano in altri modi, tipo attraverso il pianto comunicano se hanno fame o se se hanno dei dolori e i genitori capiscono qual è il bisogno da soddisfare. Peccato però che questa cosa che è necessaria nei neonati poi si porti dietro a volte anche per tutta la vita! Cioè si continua a dare per scontato che chi ci vuole bene (e non solo) ci debba capire senza il bisogno di esprimere ciò che vogliamo in un determinato momento. E questo ovviamente spesso è causa di molti malintesi.

Responsabilità. Detto questo, è implicito che, ci piaccia o meno, ognuno di noi è responsabile della propria comunicazione. Il che non vuol dire che se una comunicazione o relazione va male è colpa nostra, ma che se le cose vanno in un certo modo, nel bene o nel male, è anche responsabilità nostra e se capisco qual è la mia responsabilità, riesco a anche a cambiare ciò che si rivela disfunzionale nella mia relazione. Spesso mi sento dire “sì ok, ma se io mi impegno e cambio, ma l’altro non fa la sua parte allora è inutile”. In realtà non è così, perché per cambiare le cose all’interno di una relazione (di qualunque tipo) basta anche solo una persona, perché porta a cambiare anche l’altro, senza che questo nemmeno se ne accorga. Diventare consapevoli del potere che abbiamo quando sappiamo comunicare efficacemente, ci porta a diventare capaci di modificare la nostra comunicazione in base all’obiettivo che vogliamo raggiungere. E’ spesso non siamo nemmeno consapevoli di quali siano i nostri obiettivi comunicativi, cioè per noi sono scontati, quindi non ce ne rendiamo conto e nemmeno valutiamo se li stiamo raggiungendo o no, insistendo con modalità comunicative totalmente disfunzionali (es. la mamma che insiste quotidianamente col figlio per fargli fare i compiti, ma che poi non ottiene mai nulla). Prima di tutto, quindi, dovremmo chiederci “cosa voglio ottenere quando comunico con qualcuno?” e poi valutare, in base a come sta evolvendo la comunicazione, se sto ottenendo ciò che vorrei. Se la risposta è sì, benissimo. Ma se la risposta è no, allora mi devo fermare a pensare che se insisto su quella linea non farò altro che peggiorare ancora di più la situazione. Personalmente punto molto sulla responsabilità, perché significa avere il potere di cambiare ciò che mi fa stare male. Spesso si fraintende con il termine colpa, e sappiamo tutti che in generale si tende a dalla la colpa agli altri per come vanno le cose, perché questo è più facile, non ci si deve impegnare per mettersi in gioco. In generale, assumersi la responsabilità non è avere la colpa, piuttosto è riconoscere il potere che si ha nelle varie situazioni di cambiare ciò che può essere cambiato da noi. Ed è molto di più di quanto si pensi! Questo vale sia nella relazione con gli altri che nella relazione con se stessi.

Non ascoltare. Altro errore molto frequente a livello comunicativo, che poi si trasferisce su quello relazionale. Esempio: capita spesso che, quando un interlocutore parla, l’altro più che ascoltare il punto di vista dell’altro e come si sente l’altro, pensa a cosa deve rispondere, a qual è la sua idea e a come si sente lui/lei. Ma questo non è ascoltare, è pensare a cosa devo dire e a difendere la mia posizione. Sul piano relazionale si traduce col fatto che spesso non ci si sente ascoltati né tantomeno capiti. Di conseguenza, anche l’altro pensa a rispondere a ciò che gli è arrivato e molte volte, in base a ciò, i discorsi sono più un difendersi a vicenda che un ascoltarsi e capirsi. Che non vuol dire cambiare la propria idea. Io posso anche non essere d’accordo con quello che mi dici, però ti ascolto e accolgo il tuo punto di vista. Non ho bisogno di difendere il mio a tutti i costi (che vuol dire prevaricare). Se io sono disposta ad accettare i punti di vista degli altri, cioè li ascolto e li rispetto, metto anche altro nella condiziona di ascoltare me e di rispettarmi. Ma se io difendo a spada tratta il mio pensiero, l’altro non si sentirà preso in considerazione e comincerà a difendersi da quello che percepisce essere il mio attacco. E farà altrettanto nei miei confronti.  Ascoltare quindi, oltre a permetterci di capire l’altro, lo fa sentire anche preso in considerazione. E la relazione ne beneficia.

Relazioni funzionali. Come sono dunque le relazioni funzionali? Introduco un concetto basilare delle relazioni: il concetto di complementarietà e quello di simmetria. Uno degli assiomi della comunicazione umana universalmente riconosciuto dice che ogni comunicazione può essere complementare o simmetrica, e ciò dipende dal tipo di relazione che contraddistingue le persone coinvolte. Una relazione complementare è basata sulle differenze gerarchiche e di potere (es. medico-paziente, insegnante-alunno, ecc), mentre una relazione simmetrica è basata sull’uguaglianza, con parità di ruoli. Una relazione funzionale dovrebbe avere una giusta dose di entrambi gli aspetti, che deve oscillare tra la complementarietà e la simmetria. In fatti di per sé, nessuno dei due aspetti è negativo, lo diventa solo se all’interno di una relazione avviene un irrigidimento su una posizione, tipo solo simmetrica o solo complementare. Se c’è alternanza la relazione generalmente funziona. Esempio classico: la relazione tra la vittima e l’aguzzino, oggi spesso definiti empatici e narcisisti). Un esempio di relazione simmetrica invece è la lotta continua tra due colleghi di lavoro di pari livello o tra i due genitori che si contendono la complicità del figlio a discapito dell’altro genitore. Detto questo, risulta che le persone si associno per affinità, non per somiglianza, cioè quando si incastrano e sono complementari (es. la persona che parla molto si incastra bene con quella più taciturna che ama più ascoltare). Le relazioni complementari sono anche quelle solitamente più durature, anche se ciò non significa che siano buone relazioni (es. vittima-aguzzino).

Gestire se stessi e le proprie emozioni. Ogni relazione tende a portarsi dietro aspetti delle relazioni passate, soprattutto di quelle che abbiamo avuto con le persone più significative della nostra vita, come i nostri genitori. La nostra salute mentale è legata alla qualità delle relazioni che abbiamo avuto e che abbiamo, proprio perché sono lo specchio attraverso il quale riusciamo vederci. Quindi diventa importante imparare a gestire le proprie aspettative e le proprie emozioni, a riconoscerle prima e poi a gestirle, altrimenti si rischia di riversare le proprie vecchie frustrazioni nelle relazioni che si intraprendono. Bisognerebbe imparare a riconoscere la qualità delle relazioni che viviamo nel nostro presente, quanto siamo soddisfatti di una certa relazione e valutare poi quanto  e cosa io posso cambiare se non ne sono soddisfatto.

Come fare. Una volta che mi rendo conto se sono soddisfatto o insoddisfatto di una relazione, bisogna capire qual è la dinamica che caratterizza quel tipo di rapporto, se c’è un’insoddisfazione di almeno uno dei due partecipanti, è molto probabile che sia un irrigidimento in una posizione complementare o simmetrica. Fare questo da soli di solito non è per niente facile, cioè rendersi conto di cose che nemmeno si sanno, ma si sentono. Si sente di stare male e di solito, come dicevo prima, si tende a dare la colpa ai comportamenti dell’altro, cioè a riconoscere nell’altro la colpa del proprio malessere o insoddisfazione. E si parte da qui: in terapia, la prima doccia fredda arriva quando la persona, se vuole cambiare le cose, deve assumersi la propria responsabilità e poi sarà guidato a mettere in atto una serie di strategie comunicative che hanno l’obiettivo di modificare non solo la comunicazione, ma la relazione stessa. Ricordandoci che “Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.” (Zygmunt Bauman)

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